Mancano ancora pochissimi giorni, ma dal 30 giugno prossimo scatta per tutti coloro che vendono prodotti o servizi, anche artigiani o professionisti, l’obbligo di dotarsi di POS e di accettare pagamenti con carte di debito dai 30 euro in su. E, quindi, a fronteggiare ulteriori spese fisse e di transizione legate all’operazione: un ammontare calcolato dalla Cgia di Mestre intorno ai 1.200 euro l’anno. Le transazioni tramite carta di debito, infatti, hanno un costo, una commissione che naturalmente finisce nelle tasche delle banche.
Si introduce obbligatoriamente e ingiustamente dunque un intermediario, la banca, alla quale viene garantito un introito aggiuntivo a discapito degli esercenti, pur non svolgendo alcun ruolo reale e concreto nel rapporto tra lo stesso e l’utente. Tracciabilità e trasparenza fiscale possono essere subito garantite senza costi aggiuntivi per professionisti e imprese attraverso altri strumenti, quali ad esempio il bonifico elettronico o gli assegni bancari. Le transazioni tramite carta di debito sono ad oggi costose e vantaggiose solo per gli istituti di credito. Se si vuole combattere veramente l’evasione e recuperare risorse significative per le casse dello Stato, occorre contrastare paradisi fiscali ed evitare lo scudo fiscale.
Alla Camera abbiamo presentato una risoluzione in Commissione Finanze ed Attività Produttive per limitare, fino al 30 giugno 2015, l’obbligo normativo soltanto ai soggetti con almeno 200mila euro di fatturato, per escludere dal vincolo tutte le nuove attività per almeno due anni e per trasferire i costi delle transazioni a carico delle banche.
Riteniamo la diffusione della moneta elettronica una conquista importante e che l’e-commerce vada sostenuto attraverso la diffusione della banda larga sia nell’ottica dei benefici a favore dei consumatori sia per le ricadute positive sulla competitività delle nostre imprese nei mercati esteri. Eppure l’obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso pos risulta dannoso, in questo momento, per le Pmi ed i professionisti, anche perché non è graduato in base al fatturato e quindi finisce per essere vessatorio soprattutto per le piccole e micro imprese. Andrebbero salvaguardate quantomeno le start up che hanno bisogno di tempo e respiro per lanciarsi ed affermarsi: imprese a cui l’ulteriore spesa fissa aggiuntiva pesa non poco.