La riforma della Politica Agricola Comunitaria ( PAC ) tenga conto anche delle peculiarità italiane. Questo l’invito fatto al Governo Letta da parte dei deputati del MoVimento 5 Stelle della Commissione Agricoltura. Nella mozione, viene richiesto di imporsi sui tavoli internazionali per “uniformare, entro il 2019, i pagamenti diretti agli agricoltori verso il livello medio nazionale, attraverso la fissazione di percentuali fisse decrescenti di anno in anno (dal 2015 al 2019) del massimale da assegnare ai titoli storici e di percentuali fisse crescenti, per i corrispondenti anni, da assegnare ai nuovi titoli, al fine di non penalizzare eccessivamente gli agricoltori con titoli di valore elevato”.
Dobbiamo dare una svolta al modo in cui sono stati utilizzati i fondi della PAC negli anni addietro. Sappiamo benissimo cosa avviene durante la conferenza Stato-Regioni dove ogni assessore regionale tende di tirare l’acqua al proprio mulino quasi sempre per tornaconto elettorale. Per questo vogliamo fornire al Ministro De Girolamo un’arma più forte per distribuire in maniera equa i fondi a disposizione. L’agricoltura sarà il settore economico trainante nel prossimo futuro, per questo non possiamo permetterci di farci trovare impreparati. Troppo spesso l’agricoltura è stata messa in secondo piano dimenticando che sono gli agricoltori che ci danno da mangiare.
Tra le altre richieste inserite nella mozione del MoVimento 5 Stelle sulla PAC: “stabilire che il 5 per cento delle risorse del I pilastro sia trasferito a valere sul piano nazionale per la gestione del rischio, a fronte del fabbisogno stimato pari a circa 220 milioni di euro riferito ad avversità ed epizoozie; innalzare a 250 euro/azienda la soglia minima per l’accesso al pagamento diretto anche al fine di rendere conveniente l’aiuto rispetto al costo burocratico da sostenere per l’istruzione della pratica; valutare gli usi collettivi delle risorse idriche come rilevanti ai fini del greening, in quanto consentono un uso più razionale e ridotto dell’acqua; fissare al 25 per cento la percentuale di reddito derivante da attività agricola necessaria per essere considerati «agricoltori attivi» e salvaguardare gli enti pubblici che fanno attività di ricerca e/o didattica; attivare il pagamento ridistributivo portando il limite degli ettari ammissibili a 10 in considerazione della dimensione media delle aziende agricole italiane che è pari a 8 ettari; attivare il pagamento «flat» per i piccoli agricoltori; destinare l’intero massimale del 15 per cento al finanziamento del sostegno accoppiato assicurando che almeno il 2 per cento sia destinato al sostegno della produzione delle colture proteiche; con riferimento al cofinanziamento di programmi specifici, destinare, nel settore vitivinicolo, maggiori risorse del piano nazionale di sostegno alle assicurazioni sul raccolto in considerazione della esiguità degli importi previsti pari a circa 20 milioni di euro e ad utilizzare gli importi assegnati al comparto dell’olio per la promozione dell’informazione al consumatore; nell’ambito del partenariato europeo per l’innovazione, promuovere la costituzione di gruppi operativi tra enti di ricerca ed agricoltori al fine di rimuovere gli ostacoli ai processi innovativi e a colmare la distanza tra i risultati della ricerca e l’adozione di nuove pratiche e tecnologie da parte degli agricoltori e delle imprese agricole; incentivare la diffusione di contratti preliminari attraverso adeguate azioni informative riguardo alle caratteristiche di tali strumenti contrattuali largamente utilizzati in Europa; valutare l’opportunità di inserire nel contratto di partenariato linee guida per i piani di sviluppo regionali volti a potenziare la realizzazione di opere innovative nel settore dell’irrigazione e ad incrementare l’occupazione in agricoltura attraverso il finanziamento prioritario di progetti che creano opportunità di impiego; escludere dal calcolo dell’ammontare oggetto di riduzione progressiva nell’ambito del «capping» le spese relative ai salari legati all’attività agricola, incluse le tasse e i contributi previdenziali; coinvolgere le competenti Commissioni parlamentari nella definizione delle misure di attuazione demandate agli Stati membri al fine di orientare le scelte «politiche» in maniera rispondente alle esigenze degli operatori del settore; ridurre la complessità delle procedure nell’ottica di mitigare gli effetti di una politica comunitaria che, concentrata sulla spesa e sul controllo, è più orientata alla conformità alla normativa piuttosto che alla performance e al rendimento, anche al fine di scongiurare un incremento dei costi di gestione per lo Stato, oltre che un onere burocratico complessivo a carico dei beneficiari che potrebbe risultare anche maggiore dell’ammontare del finanziamento concesso”.