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Quale futuro per l'olivicoltura italiana?

Olivicoltura | Ultima chiamata per rinnovare

La campagna olivicola 2020 in Italia dovrebbe attestarsi introno alle 250.000 tonnellate di olio, con un calo del 35% rispetto all’anno precedente e, soprattutto, distante anni luce dalle medie produttive degli anni tra il 2000 e il 2010, abbondantemente oltre le 500.000 tonnellate. Se pensiamo che nel 2016 e nel 2018 siamo scesi addirittura sotto le 200.000 tonnellate appare evidente che qualcosa non funziona nell’olivicoltura italiana.

Un problema non da poco, considerando che con oltre un milione e 180.000 ettari si tratta della prima coltura per superficie del nostro paese. Un problema che gli addetti ai lavori segnalano da tempo e che non può essere spiegato solo con i cambiamenti climatici e le sempre più frequenti avversità atmosferiche che ne conseguono o con la comparsa di nuove malattie come la Xylella.

Anche L’Informatore Agrario ha più volte trattato questi temi, a partire dalle vicende di un Piano olivicolo mai veramente decollato.  In questo inizio di 2021 ha cercato di fare il punto della situazione mettendo intorno a un tavolo, virtuale, il mondo della produzione rappresentato da David Granieri, presidente di Unaprol- Consorzio Olivicolo Italiano, un economista che da sempre si occupa di olivicoltura come il professor Angelo Frascarelli dell’Università di Perugia, e il sottoscritto che, a parte gli incarichi istituzionali, come pugliese conosce da vicino le questioni olivicole.

Aprendo l’incontro il professor Frascarelli non ha esitato a definire «drammatica» la situazione dell’olivicoltura italiana, con una produzione in costante diminuzione e lontanissima dal riuscire a coprire il fabbisogno nazionale, sia a livello di consumi che di prodotto da esportare.

La maggior parte della superficie a oliveto italiana, ha rilevato Frascarelli, non remunera nemmeno il lavoro. Si tratta per lo più di un’attività part-time, quasi hobbystica.

Un’affermazione confermata dai dati: secondo Ismea solo il 37% delle aziende olivicole italiane sono specializzate e in grado di sostenere la competitività del mercato. Il restante 63% possono essere considerate aziende marginali, per lo più familiari e orientate prevalentemente all’autoconsumo o poco più.

Di fronte a un quadro del genere quello che serve – dice Frascarelli – è una nuova stagione di investimenti, che punti all’utilizzo di tecniche razionali per aumentare la redditività, tanto più se pensiamo che «Un oliveto moderno e ben condotto ha una redditività molto interessante, superiore a quella dei seminativi».

A questo proposito è necessario ovviamente parlare degli impianti, anche se – osserva Frascarelli – non bisogna mettere in contrapposizione gli oliveti tradizionali con quelli intensivi o superintensivi: c’è spazio per entrambi a seconda del territorio.

L’analisi dell’economista viene sposata da me in pieno: l’impresa deve fare economia, altrimenti facciamo i giardinieri. Dobbiamo smontare il falso ideologico che le piante monumentali diano il miglior olio extravergine» ha aggiunto.

Ovviamente questo non vuol dire che bisogna togliere di mezzo tutti gli olivi secolari, che proprio in Puglia trovano la loro massima valenza paesaggistica. Bisogna anzi tutelarli con aiuti specifici ai proprietari perché hanno un alto valore ambientale e turistico, ma per produrre olio di qualità e in quantità economicamente rilevanti occorre investire nella modernizzazione degli impianti.

Fondamentale quindi è puntare su due fattori: la ricerca e l’accesso al credito. La ricerca è essenziale per individuare e selezionare le migliori cultivar per le nuove forme di impianto, l’accesso al credito deve permettere all’azienda di investire uscendo dalla logica dei sussidi.

Varietà italiane e irrigazione

E gli olivicoltori cosa pensano? Anche David Granieri concorda sulla necessità di una svolta, ma senza seguire ciecamente il modello spagnolo. L’olivicoltura è un asset strategico per l’agricoltura, specialmente nelle aree interne, e il suo valore più grande è la distintività: largo quindi ai moderni impianti ma al servizio dell’enorme e unico patrimonio varietale del nostro Paese.

Le aree più vocate di pianura ma anche la dorsale appenninica del Centro Italia hanno potenzialità enormi di crescita, a patto però di potenziare un fattore fondamentale per l’olivo: la disponibilità di acqua, che può aumentare la produzione di olive anche del 35%. Senza irrigazione, sostiene Granieri, non si può fare olivicoltura competitiva, e proprio per questo sarebbe fondamentale realizzare un piano bacini in grado di assicurare disponibilità idrica.

Ma, sottolinea Granieri, l’olio italiano può competere solo sull’alta qualità e sulla esclusività che ne costituisce il principale valore.

Un concetto su cui concorda anche Frascarelli, secondo il quale i nuovi sistemi di impianto devono essere adottati anche in Italia ma non possono funzionare con i prezzi spagnoli. Non possiamo limitarci a copiare quello che è stato fatto nella penisola iberica, da qui la necessità di puntare non solo sull’efficienza produttiva ma anche sulle nostre varietà che portano con sé qualità e unicità.

Ricerca e finanziamenti

Si può fare tutto questo? Frascarelli ha portato un esempio pratico, quello realizzato da Bonifiche Ferraresi a Cortona, in provincia di Arezzo, dove è stato realizzato un impianto superintensivo di 170 ettari con varietà italiane. Ovviamente parliamo di un progetto non alla portata di tutti dal punto di vista economico ma che permette di capire che, con l’opportuno sostegno economico, si può innovare con successo.

Ma a che punto è la ricerca in Italia per individuare quali tra le nostre varietà si adattano meglio agli impianti moderni?

Bisogna partire dal dato di fatto che tranne alcuni casi, come quello citato di Cortona, chi decide di piantare oliveti intensivi o superintensivi si affida quasi sempre a varietà spagnole che sono già sperimentate con questi impianti ma, nel contempo, fanno perdere all’olio che si produce il fattore più importante, quello della distintività che lo differenzia dalla produzione mondiale.

Secondo Granieri la ricerca italiana in questo campo è indietro di vent’anni. Un giudizio forse un po’ eccessivo ma non troppo. Confermo che il Crea, il secondo centro di ricerca in Italia, non ha potuto dare il giusto contributo al l’olivicoltura, con pochi finanziamenti e pochi ricercatori. Ora, serve una sterzata.

Con quali risorse? Come sempre, per migliorare non basta la volontà, occorrono i finanziamenti e adesso le possibilità di reperirli sono concrete: si chiamano Next Generation e nuova ocm.

Per quanto riguarda le risorse europee messe a disposizione dal Next Generation, che potranno essere utilizzati in tempi relativamente brevi, c’è una prima osservazione critica da fare: il Governo italiano sembra intenzionato a destinare buona parte di questi fondi alla modernizzazione dei frantoi. Ricordiamo che in Italia sono attivi più di 4.000 frantoi, contro i circa 1.660 della Spagna (che produce annualmente più di 1 milione di tonnellate di olio).

Appare poco sensato investire sulla trasformazione quando quello che manca è la produzione. Semmai, dice Granieri, meglio potenziare il settore dello stoccaggio perché la mancanza di magazzini è spesso un problema.

Ma la vera svolta potrebbe venire dalla nuova ocm che, metterà a disposizione del settore olivicolo 34 milioni di euro all’anno privilegiando gli investimenti in campo. Quando si progettò il Piano olivicolo si quantificarono le necessità in 90 milioni di euro: beh, adesso li abbiamo!

L’importante, come sempre si chiede e come spesso non succede, è spenderli bene. Occorre investire nella modernizzazione degli impianti privilegiando quindi chi punta al mercato, e altrettanto sulle risorse idriche visto che, tutti sono d’accordo, senza irrigazione non si va lontano.

Anche i Psr, ha aggiunto Frascarelli, potrebbero essere utilmente impiegati: un oliveto può durare fino a 40 anni, si tratta quindi di un investimento strutturale.

La comunicazione al consumatore

C’è poi un altro fattore importante al quale bisognerebbe dedicarsi maggiormente: quello della comunicazione. Granieri insiste molto su questo punto: occorre portare il consumatore a scegliere la qualità, come già è stato fatto con successo con il vino.

Quanti sanno che l’olio extravergine è sottoposto sia ad analisi chimiche che a valutazioni organolettiche?

E bisogna comunicare meglio, oltre che le qualità salutari dell’olio, anche la sostenibilità ambientale degli oliveti, pure di quelli moderni.

Tornando al caso dell’impianto di Cortona, Frascarelli ha ricordato l’opposizione iniziale degli ambientalisti basata sul fatto che avrebbe «deturpato il paesaggio». In realtà ora si può anche dire che «è bellissimo».

Partire subito

C’è infine un altro punto su cui tutti sono d’accordo: per salvare l’olivicoltura italiana da un triste destino di declino occorre iniziare ad agire adesso. Le strategie necessarie sono chiare a tutti; il tavolo olivicolo dovrà dare le indicazioni per elaborare il piano strategico nazionale della nuova Pac; nella prossima ocm ci sono i fondi necessari. Non sfruttare questa occasione sarebbe delittuoso.

Abbattimenti sì o no?

Per favorire il rinnovamento dell’olivicoltura italiana ritiengo necessario superare il divieto tout court di abbattimento degli olivi: in tal senso ho presentato una proposta di legge a modifica del decreto legislativo del 27 luglio 1945 il quale prevede:

  1.  di «delimitare e caratterizzare le aree olivicole omogenee presenti in un dato territorio ed individuare strumenti di gestione per la filiera olivicola-olearia» a cura di regioni e province autonome al fine di addivenire alla «redazione dei Piani di Zonizzazione Olivicola»;
  2. di consentire l’abbattimento degli alberi di olivo previa autorizzazione della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura quando si renda necessario per l’esecuzione di opere di miglioramento fondiario, ovvero indispensabile per l’esecuzione di opere di pubblica utilità. Resta tuttavia vietato l’espianto di alberi di olivo ricadenti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico e/o idrogeologico.

Ciò permetterebbe di salvaguardare gli oliveti di valore paesaggistico ma al contempo garantirebbe agli imprenditori olivicoli la possibilità di rinnovare gli impianti secondo le più moderne tecniche olivicole.

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Ultima chiamata per rinnovare l’olivicoltura italiana – L’Informatore Agrario

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