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Quale energia? Un test per i partiti
Quale energia? Un test per i partiti

Impegno Civico | Politiche Energetiche

Il 22 agosto scorso, sulle pagine de Il Foglio, Carlo Stagnaro lancia l’appello “Quale energia? Un test per i partiti” in vista delle Politiche di domenica 25 settembre. Nonostante i numerosi invii e solleciti, e con mio sommo dispiacere perché è un quotidiano che stimo e leggo con attenzione ogni giorno, il direttore Claudio Cerasa non ha mai pubblicato la mia risposta all’appello. Ve la riporto qui in versione integrale. Buona lettura!

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Egregio Direttore, la ringraziamo per l’invito pubblico lanciato da Carlo Stagnaro a tutte le forze politiche. Le tematiche energetiche sono questioni complesse che vanno affrontate in maniera ampia, seria e scevri da ideologie come abbiamo avuto modo di apprezzare dalle pagine del vostro quotidiano. Pensare di risolvere i problemi energetici, oggi fortemente al centro del dibattito politico, con uno schiocco di dita è quantomeno da ingenui, per non dire da stolti. La situazione attuale è figlia di scelte politiche degli ultimi 30 anni che mostrano, ora, tutti i loro limiti. Gli interventi da mettere in campo vanno suddivisi in contingenti, di medio e di lungo periodo ma la conditio sine qua non è l’avere crescita economica, senza la quale tutti gli aggiustamenti necessari si ripercuotono sulle fasce più deboli della popolazione attraverso nuovo debito pubblico. Come forza politica che si pone l’obiettivo di promuovere politiche di crescita non ci sottraiamo alle vostre domande ma cercheremo di rispondere nel merito, illustrando ciò che prevede il programma elettorale di ‘Impegno Civico con Luigi Di Maio’.

Semplificazioni: fino a che punto possono spingersi e in cosa consistono? A tutto tondo o si prevedono distinzioni tra le tipologie di opere?

Dobbiamo proseguire nel percorso di semplificazione del quadro normativo pro-rinnovabili, già avviato in questi ultimi anni. Penso, ad esempio, a ciò che siamo stati già in grado di fare per lo sviluppo del biometano nel settore agricolo, rendendo così questo comparto sempre più in grado di contribuire al conseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione dell’economia italiana nonché alla riduzione del fabbisogno del gas russo e al miglioramento della sicurezza dell’approvvigionamento di gas. In un’ottica di economia circolare, con le ultime misure che abbiamo sostenuto in Parlamento si è provveduto a sbloccare l’utilizzo dei residui, dei sottoprodotti e dei rifiuti organici urbani per la produzione di energia rinnovabile. Sono obiettivi concreti che possiamo raggiungere facilmente attraverso utili semplificazioni e sburocratizzazioni.

Bisogna, poi, scongiurare l’effetto nimby su ogni tecnologia da installare, evitando gli effetti deleteri come quelli che stiamo vivendo. Per far questo, dobbiamo spiegare ai cittadini che non esiste una tecnologia buona e una cattiva decisa dalla politica ma è la scienza che dovrà guidarci. Dobbiamo tenere sempre a mente l’obiettivo: se è la decarbonizzazione, allora bisogna utilizzare il mix energetico tale da poter raggiungere questo risultato nel minor tempo possibile ed in modalità sostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico. Vogliamo una società sempre più evoluta o vogliamo tornare nelle caverne? Si tratta di una scelta. Noi vogliamo che il Paese si sviluppi, quindi la sburocratizzazione deve valere a 360 gradi su tutte le tecnologie utili per la decarbonizzazione.

Risorse nazionali Oil & Gas: bisogna sfruttarle o dobbiamo continuare a delegare a Paesi Terzi l’estrazione?

Dobbiamo perseguire con la massima determinazione tre obiettivi: ridurre il consumo di gas, soprattutto attraverso l’investimento nelle fonti rinnovabili, per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica; garantire, per la quota di gas che continueremo a utilizzare, modalità di approvvigionamento che siano rispettose dell’ambiente e che garantiscano la nostra sicurezza e, infine, soprattutto nel breve periodo, mettere in atto delle politiche di contenimento dei prezzi a tutela del potere d’acquisto delle famiglie e della competitività delle imprese. Proprio per raggiungere questi obiettivi, è importante riscoprire il ruolo della produzione sostenibile di gas nazionale, sfruttando le riserve già note. Finché continueremo a utilizzare questo combustibile (che però ha minori impatti ambientali ed emissioni rispetto a petrolio e carbone), la produzione nazionale dovrà contribuire sia alla nostra sicurezza, sia alla competitività del Paese, sia alla protezione dell’ambiente. Dai 20 miliardi di metri cubi di gas che estraevamo durante gli anni ’90, siamo giunti al record negativo di 3 miliardi. È possibile, nel medio termine, tornare ad aumentare la produzione nazionale puntando ad un traguardo ragionevole di 7 miliardi di metri cubi annui, coprendo all’incirca il 10 per cento dell’attuale fabbisogno nazionale.

Che tipo di futuro per le energie rinnovabili: incentivi e sussidi o logiche di mercato?

L’Italia oggi spende, ogni anno, oltre 12 miliardi di euro per sussidi finalizzati ad incentivare le rinnovabili. In realtà, la principale politica pro-rinnovabili sino ad oggi si è giocata per lo più nelle Soprintendenze dove gli iter autorizzativi finivano di arenarsi per scongiurare, a loro dire, impatti ambientali o paesaggistici. Non servono più soldi ma meno burocrazia. Prendiamo, ad esempio, la produzione di biometano che finanziamo con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza con 1,92 miliardi di euro per sostenere la costruzione di nuovi impianti di biometano agricolo o per riconvertire precedenti impianti di biogas, in attuazione delle indicazioni europee riportate nel piano RePowerEu. Produzioni strategiche e in grado di soddisfare il 10% del fabbisogno nazionale.

Anche per le rinnovabili, dunque, deve sempre valere la logica di mercato, altrimenti il rischio è quello di spendere di più e male le risorse pubbliche. È assurdo, però, che – come reso noto dall’Osservatorio Regions2030 del Centro Studi Elements – ben il 70% degli impianti rinnovabili sia bloccato a causa di vincoli paesaggistici imposti dalle Sovrintendenze del Ministero della Cultura.

Come garantire la sostenibilità sociale della transizione ecologica? La transizione ecologica implica una trasformazione rapida e profonda dei nostri sistemi energetici.

La transizione ecologica è, a suo modo, una rivoluzione. Come tale, comporta vincitori e vinti. Per scongiurare effetti deleteri su imprese, lavoratori e territori è importante intervenire in maniera oculata, compiendo scelte che poggino sull’analisi dei dati e che superino qualsiasi pregiudizio aprioristico. L’obiettivo è la neutralità climatica, conciliando progresso e benessere sociale, preservando l’ambiente senza sacrificare l’economia. Con il 37% delle risorse del NGEU dobbiamo avviare il percorso che ci porterà all’ambizioso obiettivo di azzerare le emissioni di CO2 e altri gas serra entro il 2050. Non esiste, ovviamente, una singola tecnologia che ci permetterà di vincere questa sfida. Nasceranno nuove tecnologie che magari ancora non conosciamo e si affermeranno nuovi mix energetici in grado di fermare il cambiamento climatico. La carbon tax – che tassa le esternalità negative e la cui applicazione ci vede favorevoli – potrà permetterci di aiutare con i proventi quella parte di società che maggiormente risentirà degli effetti della transizione ecologica, lasciando al mercato, poi, le scelte delle tecnologie da utilizzare per il raggiungimento del nostro obiettivo principale.

C’è ancora spazio per le logiche di mercato nel settore dell’energia?

Nessuno sa quale sarà il mix energetico del 2050. Il compito dello Stato deve limitarsi ad essere di incentivo alla ricerca e agli investimenti nella giusta direzione. Non uno Stato imprenditore, dunque, ma sostegni perseguendo la strada del ‘chi inquina, paga; chi contribuisce a ridurre l’inquinamento va premiato, a prescindere da quale tecnologia utilizza per farlo’.

L’attuale sistema di tassazione e incentivi risulta completamente irrazionale e disordinato: quel che serve sono interventi che non pregiudichino la crescita ma favoriscano una migliore allocazione dei fattori, obiettivo che si ottiene se il mercato resta libero da condizionamenti imposti per legge.

La discussione che il Governo Draghi ha avviato, poi interrotta dalla scelta scellerata di alcuni partiti di togliere la fiducia all’Esecutivo, riguardava la fissazione di un tetto al prezzo del gas russo sfruttando la caratteristica del mercato tra Ue e Russia e il fatto che per questioni logistiche Mosca quel gas può venderlo all’Ue o lasciarlo nei giacimenti. Diverso è il discorso, per noi assurdo, di imporre un tetto a livello nazionale: si tratta di una pratica che ha perseguito già la Spagna con il TOPE e che non ha dato buoni risultati; anzi si rischia di peggiorare la situazione.

Tra le cause dell’aumento dei prezzi che stiamo vivendo oggi vi è la scelta di mettere al bando i motori endotermici entro il 2035. Chi investe in estrazione di petrolio o gas sapendo che non ci sarà più mercato? Con una forte domanda sommata alla scarsità del bene si giunge, per banali leggi di mercato, all’aumento dei prezzi.

Dobbiamo mettere da un lato in concorrenza le tecnologie e dall’altro non possiamo più rinviare la liberalizzazione del mercato elettrico e del gas: ovunque i mercati sono stati liberalizzati ci sono stati benefici per i cittadini. Non parliamo solo del mercato dell’energia, si guardi a cosa è accaduto in Italia per l’Alta Velocità ferroviaria e la telefonia: i prezzi sono scesi e i servizi sono migliorati.

In caso di razionamenti come procedere?

L’Italia è fortemente dipendente dall’utilizzo del gas naturale che, fino allo scorso anno, per la gran parte proveniva dalla Russia. Grazie alle politiche portate avanti dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, durante il Governo Draghi, siamo riusciti ad ottenere una diversificazione dei fornitori, con l’Algeria che è diventata il nostro principale esportatore. Abbiamo così ridotto drasticamente il contributo della Russia ed entro il 2024, infatti, sarà possibile emanciparci completamente da Mosca. Questo, tuttavia, non esaurisce il nostro compito. La sicurezza energetica è una questione molto delicata e non possiamo permetterci di dipendere in maniera eccessiva da un singolo fornitore, come dovremmo aver compreso alla luce delle vicende dell’ultimo anno.

Dobbiamo essere pronti a fronteggiare qualsiasi shock, riempiendo i depositi di stoccaggio anche aumentando l’estrazione nazionale laddove possibile. Al contempo, va effettuato un lavoro sull’efficientamento e la riduzione dei costi energetici, contribuendo così a consumare meno e rinviando il timore contingentamenti.

Ma se malauguratamente si dovrebbe giungere a questo drammatico punto, bisognerà capire di che entità per approntare un elenco di priorità. In prima battuta dovremo proteggere le fasce più deboli della popolazione, poi le grandi imprese energivore, via via allargando sino alle imprese che danno più lavoro, dalle più energivore alle meno energivore. Alla base di tutto, però, è necessaria la crescita economica: solo così, infatti, si hanno spazi fiscali per intervenire sulle fasce più deboli senza generare ulteriore debito che ripagano sempre i più deboli. Il Governo Draghi è riuscito a stanziare 50 miliardi di euro senza scostamenti di bilancio proprio perché c’era crescita economica. Abbiamo davanti a noi una strada davvero stretta se non ci rimettiamo sui binari della crescita. Gli aggiustamenti in economia sono naturali ma sarebbe ottimale effettuarli durante momenti espansivi, purtroppo il nostro Paese non cresce da oltre trent’anni.

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