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Replica all’editoriale del direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno Giuseppe De Tomaso sul comparto olivicolo della Puglia
Replica all’editoriale del direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno Giuseppe De Tomaso sul comparto olivicolo della Puglia

Ecco come potrebbe ripartire l’oro verde di Puglia

L’olivicoltura pugliese necessita di un netto cambio di passo: ha perfettamente ragione Direttore! La Puglia produce il 35% di olio italiano, ovvero ben l’8% circa di quello mondiale. Nella nostra regione vi sono 60 milioni di alberi di ulivo, 350.000 ettari di terra sono uliveti, di questi 10 milioni sono alberi monumentali. Il Belpaese è sempre stato il primo produttore mondiale di olio fino agli anni ’70-’80, ovvero fino a quando la Spagna ci ha doppiati come produzione. Un sorpasso dovuto ai 5 piani olivicoli in 30 anni redatti dagli spagnoli mentre l’Italia, al contempo, non ha fatto assolutamente nulla, cullandosi sulla sua (precedente) posizione leaderistica. Serviva, infatti, l’ingresso del M5S in Parlamento per far approvare un piano olivicolo in Commissione Agricoltura seguito poi da un decreto legge (convertito con la 51/2015) che ha stanziato 30 milioni di euro (in realtà ne servirebbero almeno 100).

 

 

Molto si potrebbe fare anche sul versante dei potatori, “i sarti delle campagne” come li ha ben definiti Lei. Non solo se si eclissano i sarti, addio atelier, addio vestiti e, dunque, addio settore ma, puntando su questa specializzazione agricola si potrebbero creare reddito e lavoro. Il semplice calcolo lo ha fatto l’Università di Bari: un uliveto ha bisogno di 20 giornate annue ad ettaro di lavoro solo per le potatura. Se solo fossero ben condotti tutti i 350.000 ettari pugliesi, si avrebbe bisogno di 7 milioni di giornate di lavoro annue e si creerebbero, dunque, circa 30.000 posti di lavoro per potatori, magari infliggendo, al contempo, un duro colpo alla disoccupazione giovanile che vede in Puglia il record del 58,1%. Stiamo sognando? Preferisco pensare che si stia studiando il problema e prospettando soluzioni concrete per il futuro.

 

 

Ma mentre si è drammaticamente lenti nel costruire, si è rapidissimi nel distruggere. Il voto favorevole degli europarlamentari PD alle ulteriori tonnellate di olio di oliva tunisino rappresenta, infatti, uno schiaffo all’agricoltura e all’olivicoltura pugliese in particolare. Siamo ben coscienti che la Repubblica tunisina sia uno dei Paesi con il maggior numero di giovani che sposano la causa del califfato e si arruolano come combattenti nell’Isis, specie dopo il rapido tradimento delle speranze coltivate a seguito delle proteste del 2011 e della conseguente gravissima crisi occupazionale. Proprio per questo è indispensabile che l’Unione europea intervenga a sostegno della creazione di posti di lavoro: tuttavia tale obiettivo può essere conseguito attraverso la predisposizione di particolare programmi di aiuto da iscriversi nell’ambito dell’accordo euro-mediterraneo di associazione e a cui destinare anche le risorse derivanti dal mantenimento dei dazi, posto che, comunque, la loro mancata riscossione avrebbe una incidenza negativa sul bilancio comunitario. L’utilizzo da parte dell’Ue di strumenti di politica commerciale a sostegno della stabilità dei Paesi beneficiari, infatti, oltre a danneggiare spesso le produzioni degli Stati membri come nel caso delle sanzioni imposte alla Russia a seguito della crisi con l’Ucraina, non consente la rimozione delle cause strutturali della disoccupazione, non favorisce programmi di sviluppo endogeno in grado di eliminare le dinamiche di esclusione. Anzi, rischia di favorire fenomeni speculativi poiché, come noto, a beneficiare principalmente delle misure in questione saranno i grandi gruppi industriali a cui fa capo la produzione tunisina di olio di oliva e nessuna certezza può aversi, a oggi, circa le eventuali ricadute positive sui tassi di occupazione giovanile nazionale.

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